Parrocchia S. Caterina d’Alessandria – Bionde


LA CHIESA PARROCCHIALE DI SANTA CATERINA A BIONDE DI VISEGNA

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La chiesa di S. Caterina di Alessandria fu eretta, probabilmente, nei primi anni del Quattrocento, pochi anni dopo che la famiglia Turco era stata investita del feudo di Visegna (1393).
Nel 1460, quando il vescovo Matteo, suffraganeo del vescovo Ermolao Barbaro, eseguì la prima visita pastorale trovò la chiesa in buono stato e si lamentò solo per la mancanza del fonte battesimale.
Egli ordinò che ne fosse costruito uno entro le prossime feste natalizie, il che lascia trasparire l’intenzione del vescovo di elevare a parrocchia la chiesa di Bionde che in quel momento era semplice rettoria, soggetta alla pieve di Salizzole.
Il vicario e suffraganeo del vescovo Gian Matteo Giberti, Callisto, nel corso della visita pastorale del 1526 definisce la chiesa di S. Caterina come “Ecclesia parochialis”, anche se era officiata dal capellano don Antonio Carrara Napoletano.
Il primo parroco regolarmente insediato nella chiesa di S. Caterina fu Nicolò de Bertaccini, la cui nomina risale al 1548.
Nel 1526 Giovannni Battista Turco lasciò cento ducatri per la riparazione della chiesa e sei bacede di olio per le lampade. Tre anni dopo Tommaso Turco, del ramo di S. Pietro Incarnario, mise a disposizione non poco denaro “pro faciendo alio choro seu capella principali ipsius ecclesie”.
Nel 1630 poiché l’erezione della nuova cappella maggiore non era ancora ultimata, il vicario del vescovo sollecitò Tommaso Turco ad accelerare i lavori.
Il 12 maggio 1532 la costruzione della “Capella Magna”, ossia della nuova abside della chiesa, era conclusa. Nel corso della stessa visita pastorale il vicario vescovile don Filippo ordinò che fosse fatto un solaio al campanile, il pavimento alla nuova cappella maggiore e soprattutto una “palla ad altare maius”. Ed ecco la famiglia Turco pronta a finanziare l’opera che venne affidata a Giovan Francesco Caroto. Nel 1540 la tela raffigurante lo Sposalizio mistico di Santa Caterina con i santi Antonio Abate e Francesco campeggiava nel catino della nuova abside.
Al momento della visita pastorale eseguita da Agostino Valier nel 1568, la chiesa di S. Caterina era dotata di soli tre altari:

  1. l’altare maggiore

  2. l’altare della Beata Vergine Maria soggetto all’omonima confraternita che aveva ottenuto l’autorizzazione a costruirlo nel 1532

  3. l’altare di S. Lucia

Negli anni immediatamente successivi i Turco di S. Pietro Incarnario provvidero a erigere due altari con relative pale: il primo a destra, dedicato a Tutti i Santi, con la tela di Felice Brusasorzi raffigurante la Gloria di Tutti i Santi e l’Incoronazione della Vergine e il primo a sinistra, dedicato allo Spirito Santo, con la tela di Zeno Donise che rappresenta la Discesa dello Spirito Santo.
Con questi apporti la chiesa ebbe cinque altari che vennero puntualmente descritti dal vescovo Sebastiano Pisani II nella sua visita pastorale del 1679.
Rispetto alla situazione cinquecentesca le variazioni più significative, oltre all’erezione dei due altari dei Turco, furono la sostituzione della confraternita della B.M.V. con quella della B.M.V. del Rosario, avvenuta il 25 ottobre 1507, e il cambiamento di dedicazione dell’altare di S. Lucia che assunse quello del Crocefisso che fu affidato ai Barbieri, una famiglia di possidenti locali. Nessuna sostanziale modifica della dedicazione e della distribuzione degli altari si verificò nel secolo successivo.
Nel 1714, quando il vescovo Francesco Barbarigo effettuò la sua visita pastorale, le due confraternite erano le stesse del Seicento, i due altari dei Turco di S. Pietro Incarnario erano intestati ad Antonio Maria e quello dei Barbieri a Bernardo.
Verso la metà del secolo, essendo la capienza della chiesa diventata insufficiente a contenere il crescente numero dei fedeli, il parroco Antonio Corradini promosse una raccolta di fondi per il suo ampliamento.
Secondo quanto sostiene il Berro i lavori di ricostruzione durarono dal 1754 al 1776, mentre da un’iscrizione posta all’apice dell’arco trionfale si deduce che la chiesa sia stata eretta in dodici anni con il concorso delle elemosine, che l’intervento di ricostruzione sia stato radicale e che i lavori si siano conclusi entro il 1765.
Dopo i recenti restauri la chiesa presenta un’elegante facciata di gusto classicheggiante scandita da paraste con semicapitelli ionici nel registro intermedio e conclusa da un frontone triangolare.
Il portale in tufo scanalato ha cornice a orecchioni. Quattro vasi in tufo sono posti alla sommità delle volute laterali e alla base del fronone. L’interno ad unica navata ha quattro cappelle laterali separate da lesene con capitelli ionici che sostengono un robusto cornicione. L’altare maggiore, costruito alla romana tra il 1714 e il 1716, separa il presbiterio dal coro. Il controsoffitto è a volta composita e lunettata.
La sobria eleganza delle forme classiche e la foggia degli elementi decorativi risentono del gusto che Adriano Cristofali impose in quegli anni nel veronese; lo stesso architetto potrebbe non essere estraneo alla progettazione della nostra chiesa.
Durante il periodo in cui fu parroco di Bionde di Visegna don Ferruccio Darra (1844-1892), venne eretto sul fianco sinistro della chiesa l’oratorio dedicato a Maria Immacolata.
La facciata dell’oratorio ripropone, in termini semplificati, le forme classiccheggianti della chiesa attigua. Nella parte posteriore del fianco destro della chiesa si erge alto e slanciato il campanile che nel 1532 era stato oggetto di attenzione da parte del vicario del vescovo Gian Matteo Giberti. Riteniamo che la bella cella campanaria con balaustre e tetto metallico a bulbo poggiata su una base ottagonale sia stata elevata in concomitanza con i lavori di ricostruzione settecenteschi della chiesa.
Per quanto riguarda i beni materiali della parrocchia, ossia il beneficio, abbiamo un’interessante annotazione contenuta nella visita pastorale del vescovo Agostino Valier del 1568 che fa riferimento alla casa del parroco addossata al fianco della chiesa, che ancora oggi conserva un bel portale con colonne in marmo di S. Ambrogio e capitelli ionici. Che la canonica di Bionde fosse un edificio di pregio è confermato anche dalla Redecima del 1740, che la classifica come Casa Dominicale.
L’estensione fondiaria di 62 campi rimase pressocché immodificata anche nella rilevazione del 1653. Nella polizza di quell’anno si precisa che dei 60 campi complessivi, 24 erano ubicati entro il territorio di Bionde di Visegna e gli altri in contrada Barabò, sotto Nogara.
Dalla Redecima del 1740 sappiamo che alla metà del Settecento 58 campi erano “arativi con vigna e morari” e due formavano il prato adiacente alla casa del parroco.
Nei testi delle visite pastorali, a volte, sono riportati i dati quantitativi relativi alla popolazione di Bionde di Visegna e al numero di coloro che si accostavano al Sacramento della Comunione.
Nel 1530 gli abitanti di Bionde erano 300 e i comunicandi 200: nel 1594 la popolazione si era triplicata (900), mentre si era solo raddoppiato il numero di coloro che si confessavano con regolarità (400).
L’epidemia di peste del 1630 falcidiò la popolazione dimezzando il numero degli abitanti e, così, nel 1666, quando il vescovo Sebastiano Pisani I fece la sua visita pastorale trovò in lenta ripresa il numero degli abitanti (500) e proporionalmente elevato il numero di coloro che si comunicavano (400).

ELENCO DEI PARROCI DI SANTA CATERINA A BIONDE DI VISEGNA:

  • 1548 Nicolò De’ Bertaccini

  • 1565 Angelo Trevisani

  • 1574 Vincenzo Biancheri

  • 1580 Antonio Trevisani

  • 1601 Paolo Allegri

  • 1633 Francesco Pisani

  • 1650 Camillo Pisani

  • 1666 Marco Cumano

  • 1678 Antonio Minera

  • 1685 Giuseppe Morosini

  • 1712 Giacomo Venturini

  • 1734 Antonio Corradini

  • 1775 Francesco Perotti

  • 1779 Luigi Uber

  • 1783 Michelangelo Giacometti

  • 1812 Gianantonio Giacometti

  • 1844 Francesco Darra

  • 1892 Massimiliano Bronzato

  • 1917 Giovanni Salgari

  • 1933 Remigio Tacchella

  • 1964 Eliseo Moschini

  • 1973 Bruno Moserle

  • 1984 Candido Celadon

  • Ugo Marcolungo

  • 1997 Giovanni Soave

  • 2013 Luca Pedretti e Massimiliano Lucchi

FONTI: SALIZZOLE – Storia, cultura e morfologia del territorio – Remo Scola Gagliardi – anno 1998